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  • 14.09.2011

Etica al centro del nuovo futuro

Una considerazione realistica della crisi suggerisce infatti che, per uscirne, non sarà sufficiente mettere in campo nuove soluzioni tecniche, né stabilire pur necessarie nuove regole che disciplinino il mercato.
Ripensare il paradigma finora dominante, e che ha di fatto ridotto la ragione economica al calcolo razionale e quella politica a mera realpolitik, esige di concentrarsi su un terzo aspetto della crisi, che è a mio avviso quello decisivo e che pesa forse in misura maggiore delle fragilità strutturali dei nostri sistemi economici e politici. Mi riferisco a quella sorta di paralisi culturale che la crisi ha da un lato evidenziato e dall'altro contribuito ad accentuare, e che si manifesta in alcuni atteggiamenti ormai piuttosto generalizzati in molte società europee: penso alla scarsa tendenza a progettare il futuro, al prevalere di legami revocabili a scapito di relazioni stabili, al bisogno interpretato come diritto esclusivo al benessere da soddisfare tramite il consumo.

La posta, ben più grande dei risultati che i sistemi economici riusciranno a conseguire, è stata bene messa in luce da Benedetto XVI nella sua recente visita a Venezia: «Nell'ambito di una città, qualunque essa sia, anche le scelte di carattere amministrativo culturale ed economico dipendono, in fondo, da questo orientamento fondamentale, che possiamo chiamare "politico" nell'accezione più nobile e più alta del termine. Si tratta di scegliere tra una città "liquida", patria di una cultura che appare sempre più quella del relativo e dell'effimero, e una città che rinnova costantemente la sua bellezza attingendo dalle sorgenti benefiche dell'arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli».

Allargare la ragione, significa perciò innanzitutto rispondere alla domanda su chi sia - e chi voglia essere - il soggetto umano e quale sia la natura dei suoi bisogni. Secondo la rappresentazione hobbesiana dello stato di natura, che in un certo senso compendia la concezione moderna dell'essere umano, l'unico bisogno dell'uomo è infatti la sopravvivenza e il suo unico oggetto del desiderio è il potere quale mezzo per soddisfare il proprio bisogno.

Poiché tutti agiscono secondo tale movente, il conflitto è inevitabile. Questa concezione, variamente riformulata, è quella cui di fatto fa riferimento, più o meno consapevolmente, anche la scienza economica classica con il modello dell'homo oeconomicus, che ha ancora un forte peso nel regolare il mondo della produzione e del consumo. Si tratta di una visione non solo irrealistica ma anche ideologica perché trasforma l'uomo in un attore solitario e conflittuale del mercato e un suddito isolato e docile dello Stato. Al contrario, l'uomo è un essere originariamente in-relazione, è un io-in-relazione. Lo affermava peraltro anche Adam Smith, padre dell'economia moderna.