News

News

  • 08.11.2011

Uscire dalla gabbia della solitudine, per un’economia della felicità

Capita che l’ambizione di un saggio venga tradita fin dalla scelta del titolo. È il caso dell’ultimo lavoro di

Luciano Canova, docente di Economia ed Economia Sperimentale alla “Scuola Mattei”, che, nella sua ultima

riflessione su economia, ambiente e felicità, prende a prestito un aforisma di Franz Kafka. In "Una gabbia

andò a cercare un uccello” ("Libri Scheiwiller, Gruppo 24 ORE), infatti, la questione ambientale viene

inquadrata indagando “a volo d’uccello” secoli di filosofia e storia del pensiero economico. Ne scaturiscono

paralleli arditi, come quello che accosta il Robert Solow dell’ortodossia neoclassica al Callimaco che racconta

la fame eterna di Erisittone. Incastonato nella teoria dell’equilibrio economico generale come un’archetipica

cavia da laboratorio, l’Homo Oeconomicus vive in preda a una fame perenne, consumando beni fino a

divorare se stesso.

Felicità, dunque, è la lotta per massimizzare. Da animale ottimizzante, l’uomo consuma, sostituisce e

combina, in un processo che si replica all’infinito, approssimando l’equilibrio perfetto che avvicina all’idea di

assoluto. La questione ambientale non sfugge alla regola: capitale naturale e capitale tecnico sono

esattamente sostituibili e durano all’infinito. L’idea di mercato perfetto anestetizza la rete di connessioni

emotive che vincola l’uomo ai suoi simili e all’ambiente che lo circonda. È la vittoria postuma di Platone su

Aristotele: l’uomo è un animale in apparenza non relazionale, che si avvicina all’assoluto al prezzo di

emanciparsi dal vincolo dell’interazione. Solo nella semplicità pura dell’Iperuranio ogni idea è cristallizzata e

la felicità più completa. Ceteris paribus, Platone indica il cielo proprio come un economista neoclassico il

punto di equilibrio.

Ma seguire questo approccio significa, per dirla con il Kafka citato nel titolo, immaginare che una gabbia

possa partire alla ricerca di un uccello. Il rischio è quello di ingabbiare tra le maglie troppo strette della

funzione di produzione neoclassica ciò che è libero (e forse non catturabile) per definizione: la natura.

L’uomo, infatti, resta un animale sociale. La felicità non può essere misurata, ma la propensione a costruire

relazioni con il prossimo ne fornisce un’approssimazione discreta. Che va indagata e restituita alla

complessità che le spetta.

La felicità si nutre di relazioni che, come tali, non sono immaginabili al di fuori dell’ambiente. È la natura a

rendere possibile la reciprocità che libera l’uomo dall’isolamento. Non si tratta della felicità di Bentham che,

declinata in utilità, diviene grandezza oggettiva e misurabile, ma l’eudaimonia di Aristotele che trae forza dalla

virtù. Senza una gestione etica dei beni ambientali, dunque, non può esistere felicità.

Il saggio di Canova è qualcosa di più di una semplice critica all’ortodossia economica. Nel rivendicare la

centralità della riflessione sulla felicità nel dibattito scientifico, l’autore mescola i linguaggi e, con levità e

autoironia, sposta la provocazione anche sul piano formale. E così la divulgazione più canonica viene

spezzata da racconti umoristici, veri e propri “intermezzi” letterari che interrogano il lettore con paradossi dal

sapore surreale. Le alternative al paradigma utilitarista e paretiano, ad esempio, vengono anticipate dalla

storia del pifferaio di Hamelin, riscritta per l’occasione in nove variazioni sul tema, mentre ad illustrare i limiti

del riduzionismo quantitativo viene chiamato in causa il professor Diogenes Paradox che, da un fantomatico

Congresso Intergalattico di Studi Archeologici dell’anno 3811, riflette su quel poco che alla fine è

sopravvissuto di tante astrazioni teoriche dei giorni nostri.

L’invito, nella varietà dei toni, è quello di superare l’approccio neoclassico, alla luce di una prospettiva

nuova, aperta ad esempio alla contaminazione con le neuroscienze e alla portata innovativa del concetto di

beni relazionali. Ciò che serve è tornare a ragionare “in termini di noi”. Ogni relazione umana ci rende

dipendenti l’uno dall’altro. In contrapposizione a quella vita scevra dal vincolo delle emozioni che, secondo

Platone, avvicinerebbe all’assoluto, si deve recuperare la lezione di Aristotele e la concretezza di una realtà

fatta di tante imperfezioni.

La verità – e siamo alla tesi forte del lavoro di Canova – è che la felicità si realizza in un contesto di

relazione in cui l’uomo interagisce con l’altro e con l’ambiente, ed è tale complessità che la teoria economica

deve avere l’ambizione di cogliere. L’uomo che si illuda di rappresentare se stesso completamente ab solutus

da ogni legame - con l’ambiente, con il passato, con l’altro - è liberò sì, ma soltanto di essere solo.

Luciano Canova - Una gabbia andò a cercare un uccello - L’ambiente e il suo valore - Libri Scheiwiller,

Gruppo Sole24Ore.