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  • 25.11.2011

NOMISMA III Rapporto sul Mercato Immobiliare 2011

A ben guardare, si colgono chiaramente gli eccessi speculativi insiti nell’accelerazione negativa, principalmente riconducibile alla fragilità del quadro politico e alla mancanza di credibilità della classe dirigente. L’analisi delle principali grandezze macroeconomiche restituisce, infatti, l’immagine di un Paese in difficoltà, ma non autorizza, in alcun modo, ad accostamenti a realtà ben più compromesse della nostra, come le dinamiche dei mercati paiono accreditare.
L’Italia è diventato il bersaglio ideale di un attacco rivolto alla moneta unica, la cui capacità di tenuta non è certo favorita dall’atteggiamento opportunistico che i principali partner europei hanno manifestato in questi mesi. Il nostro Paese paga oggi il conto di ataviche insipienze, piuttosto che gli effetti di andamenti congiunturali che, come detto, non appaiono così negativi. L’ottima performance delle esportazioni, la gestione forzosamente rigorosa del deficit e la solo modesta flessione dei consumi privati, seppure a scapito di una brusca flessione della propensione al risparmio e di una contestuale accelerazione di quella dell’indebitamento, restituiscono un quadro che non pare giustificare l’improvvisa diffidenza registrata negli ultimi mesi sui mercati finanziari.
Se l’evoluzione delle principali macro grandezze rappresenta un’importante leva anti panico, a destare preoccupazione deve essere, piuttosto, la crescente fragilità di famiglie e imprese, su cui inevitabilmente si riverbera la presa di distanza internazionale e il conseguente innalzamento degli spread. Il costo sociale della capacità di tenuta dimostrata nella prolungata fase recessiva, in un contesto di crescente divaricazione della ricchezza, è stato ingente e la prospettiva che possa addirittura ampliarsi, in caso di prolungata instabilità dei mercati, appare drammatica.
Il brusco innalzamento del costo del funding da un parte, la strategia di autotutela per certi versi inevitabile posta in essere dagli istituti di credito, dall’altra, privano la domanda di un sostegno divenuto in molti casi imprescindibile. Alla gestione accomodante dei crediti problematici, soprattutto di quelli garantiti da ipoteca, fa, infatti, riscontro l’ulteriore irrigidimento dei criteri allocativi.
All’autoselezione della domanda immobiliare, riconducibile al differimento delle scelte di investimento, si associa, dunque, la scelta di alleggerimento dell’esposizione bancaria verso il comparto che finisce, inevitabilmente, per penalizzare la liquidità del mercato e, con esso, delle garanzie su cui gli stessi istituti sono esposti. Si rischia, così, l’entrata in un circolo vizioso recessivo per valori degli attivi e volumi di transazione, la cui durata potrebbe risultare tutt’altro che breve. Se non vi sono dubbi che il costo di mutui debba essere commisurato all’onerosità della provvista e all’effettiva rischiosità, calcolata in base all’andamento delle erogazioni pregresse e delle prospettive economiche generali, è altrettanto evidente che una chiusura indiscriminata finisca per alimentare le prospettive negative che si vogliono scongiurare.
Con il concretizzarsi del double dip, peraltro già segnalato nello scorso luglio, sembra essersi leggermente attenuata la capacità di tenuta dei prezzi, come si evince dalla tavola delle variazioni percentuali semestrali dell’ultimo triennio. Si tratta di un’entità ancora inadeguata, se posta in relazione alla contestuale flessione delle capacità reddituali e di indebitamento delle famiglie, nonché dell’attività transattiva, ma che tuttavia denota in maniera inequivocabile la pressione ribassista in atto. È difficile ipotizzare quanto tempo occorra per l’approdo ad un livello di valori sostenibili da cui il mercato possa finalmente ripartire, ma è comunque possibile individuare alcuni elementi che possano accelerare la transizione, consentendo al fabbisogno compresso, rappresentato prevalentemente da giovani nuclei e da domanda di sostituzione, di accedere al mercato abitativo. Le esigenze di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, l’atteso incremento delle procedure di recupero forzoso da parte delle banche a fronte di insolvenze (una volta appurata l’insostenibilità di perenni moratorie), nonché la progressiva attenuazione della rigidità dei valori da parte di chi si trova a gestire giacenze di nuova produzione, sono i principali fattori che possono favorire la chiusura dell’ingente divario tra disponibilità e aspettative. Il persistere dell’odierno squilibrio ha inesorabili riflessi sull’attività transattiva, come risulta evidente dalle tendenze in atto. Lo scenario che ancora nel corso dell’estate pareva pessimistico ha trovato conferma nelle dinamiche reali. Le 575.165 compravendite residenziali attese per fine anno rappresentano il livello più esiguo dal 1997, quando il livello di finanziarizzazione del mercato, misurato dalla diffusione dei mutui in rapporto al PIL, era decisamente più contenuto rispetto all’attuale (si è passati dal 3% al 19,7%).
Proprio il credito rappresenta, dunque, un elemento imprescindibile di supporto della domanda nella transizione verso un nuovo equilibrio. Se le condizioni di contesto e di opportunità impediscono di auspicare aperture indiscriminate, una selettività consapevole delle ricadute sistemiche di una prolungata recessione immobiliare, deve costituire qualcosa di più di un legittimo auspicio.
La componente di offerta del mercato immobiliare è una determinante fondamentale per interpretare tendenze e formulare previsioni.
Nell’ultimo decennio (2000-2009) la produzione edilizia è risultata in crescita, a tassi via via più sostenuti, fino al 2007, per poi scendere al di sotto dei livelli di inizio periodo, nel biennio 2008-2009. In questi ultimi due anni le nuove costruzioni iniziate ammontano in media annua a 36.409 fabbricati residenziali, per uno sviluppo complessivo in termini di superficie pari a 23 milioni di mq/anno e una dimensione media di 634 mq per fabbricato. Nello stesso periodo i fabbricati non residenziali concessi all’anno risultano 8.000, per uno sviluppo di superficie pari a 13,4 milioni mq/anno ed un dimensionamento medio del singolo fabbricato di poco inferiore a 1.700 mq.
Tali numeri approssimano l’offerta di nuova edilizia che si è riversata sul mercato tra il 2010 ed il 2011.
I tredici mercati monitorati da Nomisma rappresentano circa il 30% della superficie concessa in Italia e sono stati investiti da un calo ritardato e di minore intensità, rispetto al resto del Paese.
Nel decennio, l’incremento dello stock di abitazioni, dovuto perlopiù alle nuove costruzioni, è stato notevolmente superiore alla crescita dei nuclei familiari, che approssimano la domanda di nuove abitazioni, così da far ritenere che si sia in presenza di un eccesso di offerta che, al di là della congiuntura, faticherà ad essere assorbito dal mercato (il rapporto tra nuove abitazioni e nuove famiglie che, a livello nazionale, è pari a 1,7, nell’insieme dei 13 maggiori mercati sale a quasi 3).
Il dato congiunturale riferito al 2011 ha confermato la tendenza dell’offerta a crescere, a cui si contrappone il proseguimento del calo della componente di domanda.
Sul mercato tali dinamiche si sono tradotte in un nuovo calo delle quantità compravendute che, secondo le nostre stime, a fine anno potrebbe risultare del 6% per la componente residenziale e del 3,6% per quella degli immobili per l’impresa (uffici, negozi e laboratori e capannoni). Il recente calo delle transazioni si inserisce in una tendenza ormai consolidata che ha prodotto un ridimensionamento delle quantità, per effetto della congiuntura negativa, a partire dal 2007. In termini numerici, mediamente ogni anno si realizza un volume di transazioni inferiore al 23% per abitazioni e del 30% per gli immobili d’impresa, rispetto ai livelli di attività del periodo 2005-2007.
La logica conseguenza dell’attuale fragilità è rappresentata dall’ulteriore inevitabile allungamento dei tempi medi di compravendita e di locazione, arrivati ad attestarsi su livelli record in tutti i settori. Se confrontati con i tempi di vendita rilevati a fine 2007, l’allungamento è di un mese e mezzo per le abitazioni e di 2-2,5 mesi per uffici e negozi.
Il protrarsi delle difficoltà congiunturali del settore ha indotto l’offerta a rivedere le strategie di prezzo e con esse gli sconti praticati sui prezzi richiesti, che hanno fatto segnare una riduzione per le abitazioni ed una crescita per uffici e negozi. Questo comportamento dicotomico sembra dipendere da una diversa percezione circa l’evoluzione dei prezzi: nel segmento abitativo l’offerta sembra avere preso finalmente atto di una congiuntura che permane sfavorevole, optando per un rapido adeguamento al fine di perseguire gli obiettivi di realizzo; nei segmenti degli immobili per l’impresa, continua, invece, a prevalere un atteggiamento di maggiore esosità iniziale, che ha portato ad un innalzamento dello sconto in virtù della flessione dei prezzi d’acquisto.
Non meno problematica appare la situazione degli immobili corporate. Alle già descritte difficoltà sul fronte domestico, si associa la contestuale presa di beneficio da parte degli investitori internazionali, che hanno drasticamente ridotto l’operatività nel nostro Paese, orientandola in misura largamente prevalente verso il settore retail.
Il temporaneo allontanamento degli operatori esteri che, al contrario, nella fase pre-crisi avevano contribuito alla crescita del settore, risultando coinvolti in circa il 40% degli investimenti, fa sì che il mercato risulti oggi alimentato in misura nettamente prevalente dalla componente domestica, perlopiù caratterizzata da un basso profilo di rischio. La riduzione dell’operatività straniera, non potendo, in alcun modo, essere interamente compensata dai fondi immobiliari di diritto italiano o da altre iniziative di investimento di carattere locale, ha determinato una netta contrazione di volumi, ridottisi di circa il 60% nell’ultimo quadriennio.
La percezione di rischiosità del contesto ha spinto gli investitori a privilegiare i comparti a minore volatilità, quali terziario e commerciale, che nei primi nove mesi del 2011 hanno rappresentato poco meno del 90% delle operazioni, a scapito della quota di impieghi nei settori logistico-industriale e alberghiero.
La radicalizzazione delle tendenze negative in atto ha determinato, da una parte, una progressiva compressione dei rendimenti prime delle tipologie più ricercate e, dall’altra, la sostanziale assenza di operazioni su immobili usati, ubicati in contesti periferici non ottimamente infrastrutturati, per i quali il differenziale tra aspettative di domanda e offerta si è enormemente dilatato.
La ricerca di prospettive di redditività più lusinghiere rispetto a quelle garantite dai mercati principali ha spinto, da una parte, ad un’accentuazione della diversificazione territoriale degli investimenti verso realtà secondarie, dall’altra, a privilegiare gli impieghi nel comparto retail. Nei primi nove mesi del 2011, la quota degli investimenti commerciali ha addirittura raggiunto il 52%, con un incremento del 37% rispetto all’anno precedente.
A favorire la crescita del settore hanno contribuito la sottodotazione di spazi retail rispetto alla media dei Paesi europei e la capacità di tenuta dimostrata dai consumi nella fase recessiva, ancorché sostenuta da una progressiva erosione della quota di risparmio.
La profonda trasformazione intervenuta nelle scelte di investimento si inserisce in un quadro di debolezza e di attendismo, che coinvolge sia il mercato istituzionale che quello al dettaglio. La sempre più diffusa aspettativa dell’esigenza di una rimodulazione dei prezzi in funzione delle profonde trasformazioni che hanno interessato il contesto, finisce per penalizzare fortemente i livelli di attività.
La prospettiva di un’ulteriore modesta flessione, che scaturisce dalle risultanze dei modelli econometrici non rappresenterebbe, con ogni probabilità, il segnale di rottura atteso dal mercato.

 

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