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  • 18.02.2016

Quando l'originalità viene meno

 

 Italia • Se un filologo dell'anno tremila dovesse studiare la nostra civiltà, diversamente da quanto avviene ai tempi nostri in cui le ricerche e le analisi sono basate su testi e manoscritti originali, magari riprodotti in più esemplari a mano, si troverebbe in grande difficoltà, generata dalla funzione "taglia e incolla" dei comuni word editor, ormai di uso corrente da quasi trent'anni. Così, questo futuro studioso della natura della civiltà antica del millennio precedente, analizzando in modo sistematico gli scritti dell'epoca, magari con un sofisticatissimo sistema di comparazione dei testi, sarebbe costretto ad assegnare a questo periodo la definizione "della riproduzione passiva" o, volgarmente, appunto, del "taglia & incolla".

La notizia che mi ha stimolato questa considerazione è che la procura di Rieti, a seguito delle dichiarazioni di "Batman", ex consigliere regionale, sta indagando sull'utilizzo di una tesi di laurea come relazione di una consulenza commissionata dall'amministrazione regionale. Al di là della presumibile (amara) soddisfazione della neo laureata circa il plagio subito e tralasciando lo squallore svelato da questa notizia, occorre interrogarsi sul livello di originalità e sulla innovatività delle idee che leggiamo o sentiamo, sopratutto nel campo delle discipline umanistiche ma, spesso, anche in quelle scientifiche. Ricorderete altri casi simili di “taglia & incolla” di programmi politici che declinavano obiettivi e problematiche per un numero di provincie superiore a quello effettivamente presenti nella regione.

Quindi, se è vero che il capitale sono le idee e il resto sono solo soldi, siamo ormai passati tout court dall'era della riproducibilità dell'opera d'arte annunciata da Walter Benjamin nel secolo scorso a quella della riproduzione “totale e senza scrupolo”. Solo per stigmatizzare la nostra diversità rispetto ai Paesi europei, vi ricordo che sia in Germania, sia in Austria episodi di questa natura di cui sono stati accusati dei ministri, hanno causato un grande scandalo e le dimissioni di questi personaggi pubblici; non mi risulta che in Italia, in casi simili, vi sia stata una conclusione analoga.

Anche quando ascoltiamo le relazioni dei convegni - molti, in particolare, sulle tematiche di cui ci interessiamo - mi sembra vi sia sempre la sensazione del "già sentito". Sul tema ho una teoria, quella delle "cento frasi"; ovvero, in un convegno, fatto cento il numero delle tesi proposte, circa novanta sono state già dette in precedenza, otto sono utili ma non particolarmente brillanti, due sono decisamente innovative e originali, ma non le sente nessuno, perché si è fuori dalla sala a fumare, a prendere un caffè o a chiacchierare o a fare tutto questo contemporaneamente, perdendo una occasione straordinaria.

Infatti, in realtà, il catalogo delle idee - per citare il filosofo Galimberti - è limitato e se non si ha il coraggio di alimentarlo con una vera rivoluzione dell’immaginazione, corriamo il rischio di diventare, presto o tardi, tutti delle "copie", sempre più sbiadite e senza contrasto ma, soprattutto, sempre più autoreferenziali. Un esempio? Pensate alla sostenibilità, all'origine idea potente che racchiudeva concetti di equità, di approccio sensibile alle risorse che ci consentono di vivere, di solidarietà intra e inter-generazionale; oggi, nelle pubblicità anche la benzina e il gasolio o i pannolini dei neonati sono "scelte sostenibili". Consumato il contenuto nobile della sostenibilità, quindi, si ha la necessità di inventare un altro termine - ad esempio "resilienza"? - per avere altri contenuti da corrodere.

In conclusione, cosa genera l'innovazione di una società, a fronte della stanca replica di idee, slogan, parole che perdono nel tempo il loro significato, diventando simbolo di conformismo? Eraclito sosteneva che il conflitto (polemos) è l'origine di tutte le cose, cioè, in termini moderni, solo il confronto genera le idee nuove; ma il contraddittorio può avvenire senza che diventi lo scontro sterile o, peggio, distruttivo a cui assistiamo spesso, solo se si svolge con la convinzione di partecipare ad un "gioco" collaborativo, con il fine ultimo di lasciare il mondo che abbiamo trovato in condizioni migliori, quando sarà il tempo di andare.